La situazione odierna in Sudan è a dir poco catastrofica, Il Sudan paese dell’Africa nord-orientale il terzo paese più grande dell’Africa è stato devastato dagli scontri scoppiati il 15 aprile 2023 tra due generali che guidano fazioni militari rivali. Più di sei milioni di persone sono fuggite, ma molte sono bloccate in zone di guerra e lottano per sopravvivere. L’agenzia alimentare delle Nazioni Unite afferma di aver ricevuto segnalazioni di persone che muoiono di fame in Sudan e che il numero di persone che soffrono la fame è raddoppiato nell’ultimo anno a causa della guerra in corso che taglia i civili fuori dagli aiuti milioni di persone sono colpite dal conflitto. Il WFP ha affermato in una nota che dispone di cibo in Sudan, ma la mancanza di accesso umanitario e altri ostacoli stanno rallentando le operazioni. “Gli aiuti salvavita non raggiungono coloro che ne hanno più bisogno e stiamo già ricevendo segnalazioni di persone che muoiono letteralmente di fame”, ha aggiunto. Dall’inizio della guerra in Sudan, quasi 18 milioni di persone in tutto il Paese stanno affrontando una fame acuta. Khartoum, la capitale, è stata devastata dalla guerra scoppiata il 15 aprile. Le battaglie si sono diffuse in tutta la città, con i combattenti che sparavano dai tetti e incendiavano gli edifici mentre gli aerei da guerra passavano sopra di loro. L’elettricità è discontinua e ci sono segnalazioni di stupri, saccheggi e rapine. L’altro centro del conflitto è a ovest, nel Darfur, una regione già devastata da due decenni di violenza, talvolta genocida.
È tempo di elezioni nella Repubblica Centrafricana, tappa fondamentale nel processo di guarigione di un Paese spaccato dalla guerra civile.
La Repubblica Centrafricana sembra non conoscere pace. Dopo un periodo di relativa calma, negli ultimi tre giorni si sono verificati nuovi episodi di violenza settaria che hanno portato alla morte di una trentina di persone e al ferimento di quasi un centinaio. Nella giornata di sabato, il ritrovamento del corpo senza vita di un musulmano nei pressi di una moschea sarebbe stato l’elemento scatenante di una feroce rappresaglia contro un “quartiere cristiano” che, a sua volta, avrebbe innescato una controffensiva del gruppo Anti-balaka.
La crisi nella Repubblica Centrafricana
La violenza politica è stata una costante nella storia della Repubblica Centrafricana. Dal 2012, terminata una guerra civile di 3 anni (2004-2007), il Paese sta fronteggiando un nuovo periodo di crisi. Dopo una prima fase di “gestazione”, la crisi vera e propria è esplosa marzo 2013, quando le milizie musulmane (Séléka) hanno raggiunto e invaso la Capitale (Bangui) costringendo il Presidente Bozize alla fuga. Nei mesi successivi, lo scontro ha assunto un carattere esclusivamente interreligioso, abbandonando ogni logica legata alla lotta per il potere: cristiani contro musulmani, le milizie Séléka contro le milizie anti-balaka. Vittima principale di questa nuova spirale di violenze è stata la popolazione non-combattente.
Non aveva l’Unione Europea deciso di dare il suo contributo militare al fine di risolvere la crisi umanitaria che imperversa nella Repubblica Centrafricana? La risposta è “si” ma pare che le cose non stiano andando come avrebbero dovuto. Il 10 febbraio il Consiglio Europeo autorizzò la missione di peacekeeping EUFOR RCA[1] ma, finora, non sono stati fatti grandi passi avanti.
L'Unione Europea è pronta a lanciare la propria missione militare nella Repubblica Centrafricana. La decisione è stata presa all'unanimità in sede di Consiglio Europeo (20 Gennaio) e otto giorni dopo è giunta l'approvazione delle Nazioni Unite.
Lunedì 20 gennaio il Consiglio Europeo si riunirà a Bruxelles per discutere di una eventuale missione militare nella Repubblica Centrafricana, paese intrappolato in un vortice di conflitti settari che ha portato le Nazioni Unite a lanciare l'allarme genocidio.
Tuttavia, i risultati del dialogo politico sono resi incerti da una serie di fattori chiave.
La Repubblica Centrafricana continua a precipitare nel caos, 1000 persone hanno perso la vita, circa un milione si trova senza casa, le forze francesi e quelle dell'Unione Africana cercano di riportare l'ordine nel Paese ma con scarsi risultati. Per questo motivo la Francia ha chiamato l'Europa a un diretto intervento militare ma, al momento, ad appoggiare l'operazione Sangaris sono interventuti solo pochi paesi (Belgio, Estonia e Polonia) fornendo supporto tattico, tuttavia non sufficiente.
Le truppe francesi e i peacekeepers dell’Unione Africana fanno fatica ad arginare l’esplodere della violenza nella Repubblica Centrafricana (CAR), ed è per questo motivo che Parigi, in occasione del Consiglio Europeo del 19-20 dicembre, si è rivolta all’Europa in cerca di un aiuto militare e/o finanziario. L’anima della proposta Francese consiste nella creazione di una forza militare multinazionale da impiegare nel continente africano alle prime avvisaglie di una crisi. Uno strumento di questo tipo, se ben studiato, permetterebbe, in ottica futura, di bypassare la “trafila politico-diplomatica” che generalmente precede il lancio di una missione. Tuttavia, data la delicatezza della questione, il discorso è stato rinviato al primo Consiglio Europeo del nuovo anno.
Imperversa la crisi nella Repubblica Centrafricana. Il paese è nel caos e la popolazione civile è la principale vittima dei continui scontri tra le milizie paramilitari cristiane e quelle musulmane. La Francia è già intervenuta in supporto alla missione di peacekeeping condotta dall’Unione Africana ma, al momento, le circa 1600 unità transalpine facenti parte dell’operazione Sangaris sono lontane dal raggiungere il proprio obiettivo: disarmare le milizie, condurle al dialogo e ristabilire, di conseguente, l’ordine e la sicurezza.